Storia


Il desiderio dell'uomo di staccare i piedi da terra e le leggende che attorno a questo desiderio sono fiorite si perde nella notte dei tempi: dall'avventuroso volo di Dedalo ed Icaro fino a Koensu, alato dio egizio. Gli antichi hanno sempre guardato affascinati il volo degli uccelli, tentando di carpirne i segreti e applicarli al corpo dell'uomo. Senza l'altissimo genio di Leonardo da Vinci: senza i suoi studi sul volo probabilmente saremmo ancora a zampettare sul prato, Fu probabilmente Leonardo Da Vinci ( 1452-1519 ) ad effettuare il primo tentativo di volo umano, riscontrando che le ali battenti non erano idonee allo scheletro e alla muscolatura dell'uomo. Nella nostra era super computerizzata per alcuni volare vuol dire soltanto salire su un aereo che permetta di far colazione a Milano e cena a New York, ma il passeggero di questi aerei non vola: si sposta. Anche il pilota che li conduce in realtà non vola: sorveglia strumenti computerizzati, sempre più elaborati e complessi.

Anni fa, nel 1974 quasi per gioco, diversi pionieri, così benevolmente definiti, e "pazzi" per l'opinione pubblica, hanno iniziato con ammirevole spirito di avventura, o meglio incoscienza, a costruire degli strani oggetti che potendosi librare nell'aria andavano a dar seguito al sogno di Icaro che l'uomo comune aveva abbandonato da infinito tempo. In un susseguirsi di evoluzioni tecniche, messe a disposizione dalla tecnologia del settore, rapidamente, dalle prime strutture artigianali, realizzate con materiali non menzionabili per rispetto al volo , si è raggiunto un primo livello di apparecchi in cui almeno la parte strutturale andava a soddisfare i requisiti minimi di decenza esteriore, ovviamente però non di comportamenti aerodinamici, questi a lungo sono rimasti in uno stato di limbo. Intanto le prime case costruttrici del tempo con disinvoltura hanno utilizzato i piloti stessi per collaudare i mezzi posti sul mercato ed in base agli incidenti si è potuto migliorare e rendere sempre più sicure le strutture e i comportamenti in volo, nonché aumentare le prestazioni di questi apparecchi .Purtroppo la nostra storia è costellata da queste "tappe" tristemente collegate a catene di incidenti, che hanno chiuso un periodo per aprirne altri con migliori mezzi e conoscenze.

Nel 1881 il tedesco Otto Lilienthal si staccò da terra con un libratore da lui stesso costruito e sperimentato, del tutto simile al moderno deltaplano. Lilienthal si sosteneva all'attrezzo infilando le braccia nelle strutture centrali presso il baricentro del libratore, riuscendo così a controllare la direzione di volo con gli spostamenti del corpo, in avanti, indietro e di lato. Il suo libratore si staccava da terra prendendo velocità lungo il pendio di una collina, contro vento e sfruttando le correnti ascensionali.

Ma per veder pienamente realizzato l'antico sogno dell'uomo di librarsi nell'aria come gli uccelli bisogna arrivare all'inizio degli anni 50 quando, grazie ad una felice intuizione di un tecnico statunitense, nasce la velatura leggera.

Dopo la seconda guerra mondiale, l'ingegnere italoamericano Francis Melwin Rogallo brevettò l'ala flessibile biconica autostabile, detta appunto " ala Rogallo". Gli studi di Rogallo, tecnico dell'agenzia spaziale americana NASA, furono in prima istanza finalizzati alla realizzazione di un paracadute per l'atterraggio morbido di veicoli e satelliti di ritorno dai voli spaziali (Gemini e Apollo). L'ala fu ampiamente sperimentata, ma non fu mai utilizzata pienamente per uso militare o spaziale ed alla fine abbandonata ; riuscì ugualmente ad imporsi all'attenzione degli specialisti che sperimentavano il volo a vela e si può considerare la progenitrice delle attuali vele delta.

Molti sono gli appassionati che hanno legato il loro nome alla sua evoluzione: da Bill Moyes e Bill Bennet che per primi utilizzarono questo tipo di velatura per farne dei veri e propri aquiloni guidati con lo spostamento del peso (negli anni ' 60 l'australiano Bill Moyes apportò alcune modifiche al progetto Rogallo, rendendo possibile il volo al traino di un motoscafo. Il conterraneo Bill Bennet compì il primo volo). Negli anni ' 70 si intensificarono i voli e vennero stabiliti record di distanza. Nel settembre del 1971 Dave Kilbourne volò per 1h e 4', e nel 1973 l'americano Rudy Kishazy coprì una distanza di 4000 m partendo dal Monte Bianco. L'inizio della pratica del deltaplano in Italia si deve ad Alfio Caronti. Nel 1973 incontrò Bill Moyes, il quale si faceva trainare appeso ad un deltaplano. Caronti convinse Moyes a vendergli il suo mezzo, che diventò il prototipo di successivi sviluppi tecnici, e fece un volo di 5 minuti dal M.te Murelli sul lago di Como.

Con l’aumento del numero degli appassionati si costituiscono le prime associazioni e subito dopo la Federazione Italiana di Volo Libero (FIVL) nel 1976. In breve dai primi esperimenti dei pionieri, il volo si trasforma in disciplina sportiva e raggiunge una dimensione inattesa ed un valore di riferimento unico per il nostro paese, grazie anche all’inizio della pratica del volo in parapendio. Contemporaneamente la FIVL si dota delle strutture idonee a fornire assistenza ed organizzazione ai club ed alle scuole di deltaplano e parapendio che si diffondono rapidamente in tutta Italia: interviene nel delicato compito della sicurezza, funge da ente omologatore degli apparecchi, stabilisce i criteri di selezione degli istruttori e formazione degli allievi ed altro ancora. Con la legge 106 del 25 marzo 1985, concernente la disciplina del volo da diporto o sportivo, il volo libero viene ufficialmente inquadrato dalle leggi italiane come quinta specialità dell’Aereo Club d'Italia.

E quindi veniamo alla STORIA DEL DELTAPLANO
Il deltaplano è una specialità del volo libero senza motore e prende il nome dalla forma a delta dell'attrezzo. E' uno sport individuale, non olimpico e viene praticato generalmente sui rilievi montani e collinari prospicenti il mare, ma anche, seppure più raramente, nelle grandi pianure, sfruttando le principali tecniche di decollo al traino di un delta motorizzato, di un ultra leggero o di un verricello fisso. La pratica del deltaplano consente all'uomo di librarsi in aria senza l'ausilio di un motore. La particolare forma del profilo genera forze aerodinamiche in grado di sostenere un peso, di planare (da qui la denominazione di deltaplano, o glider in inglese, dal verbo to glide, planare ). Decollati da un pendio che presenti un'inclinazione ed un'esposizione ottimali al vento, si percorre la distanza che ci separa dal punto di atterraggio scendendo sempre rispetto all'aria. Il rapporto esistente tra la distanza percorsa e la differenza fra la quota di partenza e quella di arrivo definisce l'efficienza del mezzo, in pratica il grado di rendimento. Attualmente i deltaplani permettono di percorrere parecchi chilometri, circa 14, con 1000 mt. di quota, l'alta maneggevolezza consente di sfruttare le condizioni di aria ascendente per salire rispetto al terreno. Si gareggia prevalentemente su percorsi stabiliti da percorrere e terminare nel minor tempo possibile. I mezzi, per le diverse caratteristiche, vengono divisi in due categorie: - la FAI 1, ala classica senza comandi a guida pendolare; - la FAI 2, ala rigida con comandi ad azione aerodinamica, meno diffusa. Il deltaplano è costituito da un'ala semi rigida a forma di delta greco con una struttura portante formata da quattro tubi in lega, che tendono una velatura di fibra sintetica. Il pilota, imbragato sotto l'ala e disposto in posizione orizzontale prona, controlla il mezzo mediante un trapezio. Dispone di un paracadute d'emergenza, di casco e di alcuni strumenti, altimetro, variometro, anemometro. Non essendo i deltaplani dotati di motore, devono disporre di un pendio o di un mezzo trainante per staccarsi da terra proseguendo poi in modo autonomo il volo. Sfruttano le correnti termiche ascendenti dovute al riscaldamento del terreno da parte del sole e dall'interazione tra il vento ed i rilievi montani. Le gare hanno inizio partendo da decolli che dispongono di una buona distanza verticale rispetto al terreno sottostante, il successivo guadagno di quota permette di spostarsi per completare il percorso prestabilito.

STORIA DEL PARAPENDIO
Ci sono varie storie e tradizioni che attribuiscono la nascita del parapendio a diverse nazioni. Quella più comunemente accettata racconta che, nel 1978, tre paracadutisti francesi Jean Claude Bètemps, Gèrard Bosson e Andrè Bohn, allo scopo di ridurre i costi, iniziarono i primi voli dal monte Pertuiset sopra Miuessy con le loro ali da lancio tipo Parafoil e Strato Cloud. In seguito questa pratica si sviluppò ed iniziò a guadagnare adepti, data la relativa semplicità e bellezza del volo in montagna. A questo punto l'evoluzione del parapendio prese la propria strada discostandosi sempre più da quella del paracadute da lancio. Decollando da un prato la vela del parapendio doveva facilmente gonfiarsi a basse velocità e, una volta in volo, occorreva migliorarne il tasso di caduta e l'efficienza. Il tessuto F111, elastico e poroso, e i cavi tubolari, che ben resistevano allo shock di apertura in caduta libera, si rivelavano non solo inutili, ma controproducenti per le nuove esigenze. Per ovviare a questo problema lo svizzero Laurent de Kalbermatten progettò delle ali utilizzando un tessuto chiamato Spin e usato in nautica. Questo materiale, leggero, inestensibile e a porosità zero rappresentava il punto di svolta, insieme ai cordini in fibra aramidica, per raggiungere prestazioni impensabili fino a qualche anno prima. Le prestazioni dei mezzi passavano dall'efficienza di 2-3 punti dei paracadute da lancio ai 5-6 punti dei parapendio dei primi anni novanta. Poi, di anno in anno, la ricerca aerodinamica sui profili, l'eliminazione delle resistenze parassite e il paziente lavoro di collaudo hanno portato a raggiungere sempre migliori prestazioni e sicurezza, prima sulle vele da gara e poi sui mezzi destinati al grande pubblico. Dalle gare di permanenza in volo degli anni ottanta si è passati a quelle di distanza e velocità su percorsi sempre più vari ed impegnativi. I mezzi attuali stanno raggiungendo prestazioni tali per cui il termine di derivazione francese, "Parapendio" incomincia forse ad essere non più adeguato e sarebbe più opportuna la definizione inglese "Paraglider", paracadute-aliante. Infatti, al di là delle prestazioni esasperate dei record, come gli oltre 300 chilometri di distanza volati in linea retta in Sud Africa e i più di 4000 metri di guadagno di quota, resta tutta una sfera di possibilità di volo e divertimento aperta a chiunque che, portata la propria sacca su un qualsiasi decollo, desideri semplicemente volare.

In quali zone è più praticato? Il nord Italia, per la sua conformazione, offre più possibilità di volo, ma anche l'Appennino ha molte zone in cui è facile trovare dei decolli. Molte sono le zone di volo anche nelle isole. La Francia, la Germania e il Regno Unito hanno un alto numero di praticanti, ma si sono svolti dei Campionati Mondiali anche in Svezia ed in Ungheria. Sono in aumento i piloti dell'Est. Nel mondo gli Stati Uniti d'America hanno il numero maggiore di piloti di un certo livello, ma il volo libero è molto apprezzato anche in Brasile e nel resto del Sud America. Di un buon livello anche i piloti australiani. In campo internazionale l'organismo che regolamenta e disciplina il volo da diporto è la CIVL - F.A.I. (Federazione Aeronautica Internazionale ) con sede a Losanna che ha come delegato per l'Italia Pietro Bacchi membro della Commissione Sportiva Centrale dell'AeCI e presidente della FIVL In tutti i paesi del mondo si pratica il volo libero. La maggior diffusione, legata a condizioni ambientali ed economiche, si ha negli U.S.A., in Giappone, in Australia ed in Europa. In Italia l'ente preposto alla sorveglianza è appunto l'Aero Club d'Italia, con l'ausilio di una commissione tecnica consuntiva di cui fanno parte Italo Tarasconi e Sergio Calabresi che sono consiglieri della FIVL.

COME FUNZIONANO: Il deltaplano è uno sport individuale e viene praticato generalmente sui rilievi montani e collinari, ma anche nelle grandi pianure, sfruttando tecniche di decollo al traino di un delta motorizzato, di un ultra leggero o di un verricello fisso. E’ costituito da un'ala semi rigida a forma di delta greco con una struttura portante formata da quattro tubi in lega, che tendono una velatura di fibra sintetica. Il pilota, imbragato sotto l'ala e disposto in posizione orizzontale prona, controlla il mezzo mediante un trapezio. Dispone di un paracadute d'emergenza, casco, variometro, bussola, radio e di recente anche il GPS. La particolare forma del profilo genera forze aerodinamiche in grado di sostenere un peso, di planare (da qui la denominazione di deltaplano, o "glider" in inglese, dal verbo "to glide", planare). Si decolla da un pendio che presenti un'inclinazione ed un'esposizione ottimali al vento. In volo si può scendere rispetto all'aria, oppure risalire di quota sfruttando le correnti termiche ascendenti dovute al riscaldamento del terreno da parte del sole e dall'interazione tra il vento ed i rilievi montani. Il rapporto esistente tra la distanza percorsa e la differenza fra la quota di partenza e quella di arrivo definisce l'efficienza del mezzo, in pratica il grado di rendimento. In genere i deltaplani permettono di percorrere parecchi chilometri, circa 14, con 1000 metri di quota, ma attualmente i modelli più evoluti hanno superato di gran lunga questo valore. Il parapendio, sebbene derivi dal paracadute da lancio, nulla ha in comune con il suddetto e come tale non funziona. La vela è un’ala che deve volare per sostenersi. Il corpo della vela è costituito da due superfici di tessuto parallele, tenute insieme da un certo numero di membrane verticali (centine) che la suddividono in "cassoni". La vela si gonfia prendendo aria dal bordo d’attacco (parte anteriore) e dando forma ad un profilo alare, mantenuto dalle centine. La parte posteriore ("bordo d’uscita") è chiusa. Il pilota guida il mezzo seduto e trattenuto in un imbrago, detto anche "selletta". Questa viene agganciata alle "bretelle", dalle quali diramano verso la vela più serie di cavi, o "cordini". Due di queste serie di cordini, detti "freni", sono nelle mani del pilota che, trazionando il destro od il sinistro, chiude l’una o l’altra semiala lungo il bordo d’uscita, dirige il mezzo e ne determina la velocità. Come nel deltaplano, fanno parte dell’equipaggiamento paracadute d'emergenza, radio, casco, variometro, bussola e GPS. Nello stesso modo si decolla da un leggero pendio montano, si plana o si sfruttano le correnti ascensionali per mantenersi in volo. Il decollo avviene stendendo la vela sul prato, collegandola all’imbrago e sollevandola in volo con una breve corsa lungo il pendio.